Preparazione dei mazzolini di Mimosa, il nostro fiore politico.
Prenderlo per sé è un atto di adesione a una lotta secolare
0 Comments
"PER ALICE NERI" - COMUNICATO UDI
Alice Neri non potrà raccontare che cosa le sia stato fatto, né da chi sia stata uccisa quel 18 novembre del 2022. Spazio - tutto quello che vorrà prendersi - e modo di dire cosa sia successo li avrà invece l'imputato. Ha incominciato "spontaneamente" a farlo dopo 15 mesi di mutezza. Fa sorridere amaramente che si sia sottolineato più volte che la dichiarazione che avrebbe reso Gaaloul sarebbe stata "spontanea". Spontanea. Spontanea. Spontanea. Niente viene lasciato all'improvvisazione, invece, secondo noi. Preso per mano dalla Corte, neanche avesse a che fare con un bambino, e rassicurato e incoraggiato come farebbe un genitore con il figlio, Gaaloul ha detto la "sua" verità, sotto la furbesca -non diremo "sapiente"- regia del suo avvocato. Risultato: Gaaloul è apparso come un pulcino bagnato sotto la pioggia battente - quella di una ingiustizia commessa ai suoi danni- a invocare innocenza, "verità", ed estraneità ai fatti. "Hamma" ha la tentazione di chiamarlo la stampa. Quasi verrebbe da provare simpatia e ricredersi sulla gravità delle responsabilità che gli vengono imputate. Del resto il paternalismo ha bisogno dell'infantilizzazione per suonarci accettabile. E' osceno sentirlo parlare con ossequio - non diremo "rispetto" - di Alice Neri: la chiama varie volte "signora Alice Neri" quando è accusato di averla uccisa a coltellate e di averne distrutto il cadavere. Ma certo, si dirà, lui ha il diritto di difendersi, anche mentendo. Tuttavia qualcosa non va, e non dipende dall'esigibilità dei diritti costituzionalmente garantiti anche ai presunti femminicida: il problema è che il tribunale sembra un teatro. Non si capisce cosa sia reale e cosa no. Sembra essere saltata la quarta parete. Siamo tutti attori. Eppure Alice Neri è stata uccisa per davvero e per davvero la sua salma, ridotta a pochi miseri resti, attende da molto tempo sepoltura. Ma c'è anche chi va in tv a rimescolare le carte, a suggestionare l'opinione pubblica lasciando l'aula di tribunale a favore degli studi televisivi. Ed è subito reality show - non ci vorremo mica far bastare il teatro, no? - con buona pace di chi denuncia la pornografia del dolore e la spettacolarizzazione della violenza contro le donne. Tutto è in vendita. La cosa che scandalizza, allora, è che sembra non avere primaria importanza ottenere giustizia per Alice Neri, né per la minore resa orfana di madre. Neppure garantire il giusto processo per l'imputato sembra essere il vero punto. Piuttosto l'interesse di questo teatro, di questa ipnosi, di questo show sembra essere il perseguimento del prestigio edonistico, garantito a chi riesca a sfangarla, a mettere tutti nel sacco, magari con ottimi ritorni in termini professionali, ostentando sicurezza - che non ha, coraggio- che non ha, e persino magnanimità. E' giustizia questa? E' questo che una donna uccisa, oltraggiata e distrutta - tolta a una madre e a un fratello che la piangono e la piageranno per i loro giorni a venire, e tolta a una bambina di quattro anni - merita di avere in termini di giustizia? In rappresentanza del Coordinamento dell'UDI MODENA: Serena Ballista, Presidente UDI MODENA & Avvocata Sonia Lama Nuova maratona antiabortista davanti all'ospedale Policlinico di Modena (14 febbraio - 24marzo 2024)2/21/2024 Constatiamo, con grande amarezza e frustrazione, il ripetersi della manifestazione di quaranta giorni contro la facoltà da parte delle donne di scegliere se portare avanti una gravidanza o meno, autorizzata davanti al Policlinico di Modena come durante lo scorso autunno, dal 27 settembre al 5 novembre 2023, e alla quale conseguirono ben due contro manifestazioni.
Dispiace rilevare che per le istituzioni pubbliche della città la colpevolizzazione e la violenza psicologica direttamente inferta alle donne che accedono alla struttura, laica e pubblica, per interrompere la gravidanza nelle modalità indicate da una legge dello Stato, la L.194/1978, non costituisca un problema di ordine pubblico, come già denunciato in passato e a più riprese. Crediamo che autorizzare questo genere di manifestazioni davanti a un luogo sensibile come è, di fatto, un ospedale, rappresenti una grave forma di violenza istituzionale contro le donne. Abbiamo sperato e creduto, avendo fiducia nelle istituzioni, che ciò non si riverificasse più. Ci ritroviamo, invece, costrette, ancora una volta, a segnalare l'incoerenza tra questa scelta e la garanzia di abitare una società che possa dirsi davvero democratica. Modena, 15 febbraio 2024 Coordinamento UDI Modena Siamo ammesse alla costituzione di parte civile nel processo penale per il femminicidio di Alice Neri.
Ci siamo nella consapevolezza che "per ogni donna offesa, siamo tutte parte lesa" dal momento che ogni volta che una donna subisce una prevaricazione in quanto donna, veniamo esposte tutte ulteriormente. Perché? Perché si consolida e rafforza l'immaginario da cui originano discriminazioni e violenze di stampo patriarcale che minano l'esigibilita' dei nostri diritti fondamentali. Per Alice. La mostra, attraverso manifesti storici, fotografie d'archivio e video testimonianze, racconta quanto le donne, e in particolare le donne dell'UDI, abbiano lavorato, pensato e scritto, dal dopoguerra a oggi, affinché la violenza contro le donne e la cultura che la alimenta lascino il posto a rispetto e parità fra i sessi. Nel solco di questa sfida, il titolo della mostra, che richiama il mito di Apollo e Dafne, intende sollecitare un diverso approccio: occorre concentrarsi su quanto Apollo possa fare la differenza nel rivedere i propri modelli di mascolinità tossica.
Diritti e Libertà delle donne – Una cittadinanza piena per un mondo più giusto Come sempre nella giornata internazionale della donna, riflettiamo sul passato, sul nostro presente e ci interroghiamo sul futuro. I diritti conquistati negli anni passati con dure lotte dall’UDI e dal movimento delle donne hanno eliminato le ingiustizie più evidenti e avviato il percorso di liberazione individuale e collettiva dai condizionamenti che la società patriarcale poneva e ancora pone. Ma mentre le donne andavano avanti in un percorso di affermazione della soggettività femminile, la politica dei partiti seguiva un itinerario inverso, di chiusura autoreferenziale e di crisi profonda. L’avvento della libertà femminile avrebbe richiesto cambiamenti radicali in un’organizzazione sociale che fino a quel momento si reggeva sulla rigida divisione di ruoli: uomini nel pubblico e donne nel privato, invece è prevalsa la scelta più innocua: includere le donne senza alcuna modificazione della cosa pubblica. Oggi il rischio è che la neutralizzazione delle donne avvenga non più attraverso l’esclusione ma l’inclusione. Parità e pari opportunità sono spesso intese come necessità delle donne di essere/diventare pari agli uomini e mai viceversa, fino a vivere la loro stessa differenza con difficoltà, quasi un fardello da cui liberarsi anche a favore di un “gender” indifferenziato. Si agita lo spettro del calo demografico, dandone la responsabilità alle donne, senza che siano stati presi i provvedimenti che permetterebbero alle donne di decidere se essere o non essere madri. Oggi ci chiedono di confidare nel PNRR per risolvere i problemi, ma i fatti oltre le parole cosa dicono? Dal bilancio di genere del 2021 si evince che siamo tra i paesi europei con il tasso di occupazione femminile più basso, nonostante le donne abbiano un livello d’istruzione più elevato, che il part time è per il 60% delle lavoratrici una condizione subita e non scelta e che vengono penalizzate soprattutto le donne con figli. Gli asili nido sul territorio nazionale sono da decenni del tutto insufficienti e mancano politiche adeguate di sostegno alla maternità. La carenza di servizi sociali particolarmente grave nel meridione e nelle isole, pesa soprattutto sulle donne. Non sempre l’occupazione coincide con il lavoro: le donne in Italia, dicono le statistiche, lavorano in media più degli uomini proprio per quel lavoro di cura che regge il paese, gratuito e non riconosciuto, nonostante rappresenti una parte cospicua del Pil. Essere madre è nella nostra società una corsa ad ostacoli e la bigenitorialità viene usata troppo spesso nei tribunali per sottrarre i/le figli/e alle donne, che denunciano violenze in famiglia mettendo a rischio in molti casi la sicurezza dei/lle piccoli/e. Per questo l’UDI insieme all’Associazione Federico nel cuore ha lanciato una petizione per sostenere l’approvazione del ddl 2417, per fermare i figlicidi. La cancellazione della madre è evidente anche nella trasmissione del cognome alla famiglia con la superiorità del patronimico paterno, in barba alla Costituzione. Dispiace che anche alcune donne lo ritengano un problema secondario. Il cognome fa parte della nostra identità di persona e non poterlo trasmettere a chi abbiamo messo al mondo è una ferita alla nostra dignità. Il sessismo e il neoliberismo, per assoggettare le donne, operano da sempre in stretta connessione tra il piano materiale della nostra condizione socio-economica e il piano culturale/simbolico. Non c’è quindi un prima e un dopo. Oggi, straparlando di libertà e di “dono”, si vorrebbe con la maternità surrogata ridurre il corpo femminile ad una incubatrice e con il sex work (prostituzione come lavoro) a merce da offrire sul mercato. Nel frattempo l’altissima percentuale di obiezione di coscienza (più del 70% la media nazionale), rende difficile alle donne ricorrere all’aborto e in alcune regioni trovare un consultorio che funzioni bene è una vera impresa. Violenza maschile sulle donne, molestie sessuali, stalking, femminicidio, non diminuiscono, anzi i dati dimostrano che la pandemia ha aggravato il fenomeno. Viviamo quindi un attacco alle nostre conquiste, particolarmente pericoloso perché non sempre è riconoscibile, presentandosi in maniera surrettizia come affermazione di nuove libertà e perché avviene in un contesto di crisi della democrazia e della politica in cui non è più chiaro quali scelte possano fare i referenti istituzionali. Eppure la pandemia, portando tragicamente allo scoperto la fragilità e l’interdipendenza degli esseri umani, ha mostrato con chiarezza che siamo ad un punto di non ritorno in cui è urgente, per la difesa del pianeta, un cambio di civiltà. Un cambio di civiltà di cui le donne possono/debbono farsi portatrici, contrastando l’illusione di onnipotenza e l’ossessione di dominio maschili. La forza morale, l’attenzione, la relazione e la capacità di amore e di cura per le creature umane e per la natura possono essere i principi ispiratori di un altro ordine che prenda le mosse dall’esperienza storica delle donne, quella che è stata detta “opera femminile di civiltà”. Ce lo chiedono le giovani generazioni che, sulla scia di Greta Thunberg, pretendono salvaguardia dell’ambiente e giustizia sociale. Lo esigono i morti nel Mediterraneo e nelle frontiere dell’Europa, a cui rischiamo di assuefarci. Lo reclamano disperazione e sofferenza di popoli costretti da spietate oligarchie in guerre senza fine. Nel nostro paese aumenta la spesa militare e siamo quasi incredule di fronte ai forti venti di guerra che soffiano nel cuore dell’Europa. La premio Nobel Svetlana Aleksievic ha scritto “La guerra non ha un volto di donna”. È vero. Proprio per questo dobbiamo fare di tutto per fermare questa follia distruttiva. I 20 anni di occupazione militare dell’Afghanistan, conclusisi con la rovinosa fuga da Kabul, rappresentano il fallimento del ripristino della guerra come strumento di governo di un preteso “nuovo ordine internazionale” e smascherano le bugie che, in tutti questi anni, ci hanno parlato di intervento di pace. Gino Strada, del resto, ce lo ha sempre ricordato, e oggi possiamo ben chiederci a cosa sono serviti enormi costi di distruzione e il sacrificio di innumerevoli vite umane. In seguito alla caduta del Muro dell’89, invece di procedere finalmente all’attuazione dello Statuto dell’ONU, che per la prima volta nella storia dichiara la messa al bando definitiva della guerra, gli USA (e dietro ad essi l’Italia e l’“Occidente”) hanno concepito una strategia di potere pur sostenendo di volere esportare democrazia e valori universali. È più di un sospetto che, insieme a dichiarazioni di principio, si muovano corposi e inconfessati interessi economici e geopolitici. Ancora una volta constatiamo la necessità e l’urgenza di fondare le relazioni umane, sia nell’ambito dei rapporti interpersonali, sia a livello politico, sui principi della nonviolenza, che sola può dare un futuro di vera sicurezza al comune destino umano. Esprimiamo grande preoccupazione, profondo dolore e forte indignazione per quanto sta avvenendo in Afghanistan e condanniamo fermamente chi – partiti, formazioni politiche, Stati e governi, singole personalità - paventa “un’ennesima ondata migratoria” e grida al rischio di terrorismo, che si pretende ad essa collegato. Numerosi paesi europei si sono detti determinati a effettuare rimpatri forzati o espulsioni di profughi afghani verso paesi limitrofi in cui i diritti fondamentali – soprattutto delle donne - sono del tutto ignorati. L’Afghanistan non è stato un Paese sicuro nei vent’anni di occupazione occidentale, non lo era prima e non lo è ora. Esprimiamo ammirazione e solidarietà per le donne che in Afghanistan, in questi giorni di abbandono internazionale, indifese e armate solo del loro grande coraggio, stanno manifestando per i diritti di tutti: donne, bambini, categorie a gravissimo rischio di vita, come le comunità LGBT - ancora e sempre in condizioni di clandestinità - e di ogni cittadino. Per tutte queste ragioni chiediamo: • che si attivino corridoi umanitari di uscita dall’Afghanistan sicuri, in Italia e a livello internazionale e reti territoriali nei paesi ospitanti, allo scopo di dare particolari tutele e garanzie a tutti coloro – singoli o famiglie - che intendono lasciare l’Afghanistan, in particolare le donne e i bambini. Ciò in ottemperanza della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che, all’art. 13, afferma “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”; • di individuare e sostenere le realtà che sul territorio della Provincia di Modena possono rappresentare luoghi di accoglienza per le persone in fuga dall’Afghanistan e di consolidare e alzare il livello di capacità di accoglienza per tutti i profughi che si rivolgono all’Italia e all’Europa, attraverso rotte pericolosissime come quella balcanica e mediterranea; • di moltiplicare l’impegno contro la preparazione della prossima guerra, contro l’industria bellica, i bilanci militari e le banche armate e per l’istituzione della difesa civile non armata e nonviolenta. ACLI, ARCI, ANPI, CGIL, Migrantes, MCE (Movimento di Cooperazione Educativa), MOXA (Modena x gli Altri), Legambiente, Associazione MILAD, FFF (Fridays For Future), Centro Contro la Violenza alle Donne, Associazione Donne nel Mondo, Blu Bramante, "Pace, Terra e Libertà" (Sassuolo), Bambini nel Deserto, ArciLesbica, Casa delle Culture, Centro Milinda, LIBERA-associazioni nomi e numeri contro le mafie, ArciGay, Movimento Nonviolento, Donne in Nero, Amnesty International, Rete di Lilliput, Associazione per la Pace, FIAB ,Collettivo “studiare, studiare, studiare”, Casa per la Pace, Modena incontra Jenin, Associazione Idee in Circolo, Gruppo Carcere-Città, Gruppo Don Milani, Associazione Tefa Colombia, Comunità di Base Villaggio Artigiano, UDI Unione Donne in Italia di Modena CHIEDIAMO
che l’Italia e l’Europa tutta agiscano tempestivamente per portare soccorso alle donne afghane, alle bambine, alle attiviste e alle donne che hanno collaborato con i paesi occidentali per combattere la violenza talebana che vengano immediatamente attivati corridoi umanitari internazionali per mettere in salvo tutte le donne afghane e i loro eventuali bambini, poiché in quanto donne – single, professioniste, insegnanti, intellettuali, artiste e attiviste – sono oggetto di rastrellamenti, violenze, stupri, schiavitù sessuale e interdizioni dalle loro attività lavorative che venga data prioritariamente assistenza alle bambine che vedono violati i loro diritti fondamentali all’istruzione, alla cura, alla tutela da ogni forma di sfruttamento sessuale e da ogni forma di violenza. https://www.casainternazionaledelledonne.org/.../a-fianc.../ L’UDI raccoglie il grido disperato delle donne afghane e l’appello accorato della regista Sahraa Karimi, prima donna presidente del cinema afghano, ora in fuga da Kabul verso una località segreta essendo un obiettivo militare dei talebani, come tutte le donne, le bambine, le professionalità afghane che in vent’anni, sono state protagoniste di un percorso storico di evoluzione e di emancipazione.
Gravissime sono le responsabilità per quello che sta succedendo dell’occidente e del nostro paese che ha condiviso le scelte belliche degli Stati Uniti verso l’Afghanistan in nome della lotta al terrorismo, della democrazia e della libertà delle donne. Di fronte ad una tragedia di cui tutti i governi italiani, a partire dal 2000, sono corresponsabili, l’UDI chiede al Governo in carica l’immediata istituzione di un organismo dotato di poteri e risorse economiche che: - appronti e gestisca programmi governativi immediati e rapidi di evacuazione dall’Afghanistan per tutti quelli che vogliono lasciare il Paese; - individui i percorsi migliori per rendere possibili corridoi umanitari per donne, bambini e bambine; - gestisca l’accoglienza nel nostro paese, organizzando anche il volontariato sia delle associazioni sia delle/i singole/i; - disegni un futuro che preveda ad esempio per le donne il riconoscimento di rifugiate politiche. Per passare dalle parole ai fatti, dai proclami teorici alle soluzioni concrete, sono tante le donne in Italia, pronte ad accogliere altre donne, quante si ritrovano nella lista di proscrizione dei talebani. Come negli anni '40, la Resistenza internazionale contro ogni violenza e sopruso non è mai finita e l’UDI, coerentemente con le proprie radici storiche, partecipa attivamente ancora oggi alla nuova Resistenza, partendo dalle donne e dall’accoglienza. Art by Shamsia Hassani |