La mostra, attraverso manifesti storici, fotografie d'archivio e video testimonianze, racconta quanto le donne, e in particolare le donne dell'UDI, abbiano lavorato, pensato e scritto, dal dopoguerra a oggi, affinché la violenza contro le donne e la cultura che la alimenta lascino il posto a rispetto e parità fra i sessi. Nel solco di questa sfida, il titolo della mostra, che richiama il mito di Apollo e Dafne, intende sollecitare un diverso approccio: occorre concentrarsi su quanto Apollo possa fare la differenza nel rivedere i propri modelli di mascolinità tossica.
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Diritti e Libertà delle donne – Una cittadinanza piena per un mondo più giusto Come sempre nella giornata internazionale della donna, riflettiamo sul passato, sul nostro presente e ci interroghiamo sul futuro. I diritti conquistati negli anni passati con dure lotte dall’UDI e dal movimento delle donne hanno eliminato le ingiustizie più evidenti e avviato il percorso di liberazione individuale e collettiva dai condizionamenti che la società patriarcale poneva e ancora pone. Ma mentre le donne andavano avanti in un percorso di affermazione della soggettività femminile, la politica dei partiti seguiva un itinerario inverso, di chiusura autoreferenziale e di crisi profonda. L’avvento della libertà femminile avrebbe richiesto cambiamenti radicali in un’organizzazione sociale che fino a quel momento si reggeva sulla rigida divisione di ruoli: uomini nel pubblico e donne nel privato, invece è prevalsa la scelta più innocua: includere le donne senza alcuna modificazione della cosa pubblica. Oggi il rischio è che la neutralizzazione delle donne avvenga non più attraverso l’esclusione ma l’inclusione. Parità e pari opportunità sono spesso intese come necessità delle donne di essere/diventare pari agli uomini e mai viceversa, fino a vivere la loro stessa differenza con difficoltà, quasi un fardello da cui liberarsi anche a favore di un “gender” indifferenziato. Si agita lo spettro del calo demografico, dandone la responsabilità alle donne, senza che siano stati presi i provvedimenti che permetterebbero alle donne di decidere se essere o non essere madri. Oggi ci chiedono di confidare nel PNRR per risolvere i problemi, ma i fatti oltre le parole cosa dicono? Dal bilancio di genere del 2021 si evince che siamo tra i paesi europei con il tasso di occupazione femminile più basso, nonostante le donne abbiano un livello d’istruzione più elevato, che il part time è per il 60% delle lavoratrici una condizione subita e non scelta e che vengono penalizzate soprattutto le donne con figli. Gli asili nido sul territorio nazionale sono da decenni del tutto insufficienti e mancano politiche adeguate di sostegno alla maternità. La carenza di servizi sociali particolarmente grave nel meridione e nelle isole, pesa soprattutto sulle donne. Non sempre l’occupazione coincide con il lavoro: le donne in Italia, dicono le statistiche, lavorano in media più degli uomini proprio per quel lavoro di cura che regge il paese, gratuito e non riconosciuto, nonostante rappresenti una parte cospicua del Pil. Essere madre è nella nostra società una corsa ad ostacoli e la bigenitorialità viene usata troppo spesso nei tribunali per sottrarre i/le figli/e alle donne, che denunciano violenze in famiglia mettendo a rischio in molti casi la sicurezza dei/lle piccoli/e. Per questo l’UDI insieme all’Associazione Federico nel cuore ha lanciato una petizione per sostenere l’approvazione del ddl 2417, per fermare i figlicidi. La cancellazione della madre è evidente anche nella trasmissione del cognome alla famiglia con la superiorità del patronimico paterno, in barba alla Costituzione. Dispiace che anche alcune donne lo ritengano un problema secondario. Il cognome fa parte della nostra identità di persona e non poterlo trasmettere a chi abbiamo messo al mondo è una ferita alla nostra dignità. Il sessismo e il neoliberismo, per assoggettare le donne, operano da sempre in stretta connessione tra il piano materiale della nostra condizione socio-economica e il piano culturale/simbolico. Non c’è quindi un prima e un dopo. Oggi, straparlando di libertà e di “dono”, si vorrebbe con la maternità surrogata ridurre il corpo femminile ad una incubatrice e con il sex work (prostituzione come lavoro) a merce da offrire sul mercato. Nel frattempo l’altissima percentuale di obiezione di coscienza (più del 70% la media nazionale), rende difficile alle donne ricorrere all’aborto e in alcune regioni trovare un consultorio che funzioni bene è una vera impresa. Violenza maschile sulle donne, molestie sessuali, stalking, femminicidio, non diminuiscono, anzi i dati dimostrano che la pandemia ha aggravato il fenomeno. Viviamo quindi un attacco alle nostre conquiste, particolarmente pericoloso perché non sempre è riconoscibile, presentandosi in maniera surrettizia come affermazione di nuove libertà e perché avviene in un contesto di crisi della democrazia e della politica in cui non è più chiaro quali scelte possano fare i referenti istituzionali. Eppure la pandemia, portando tragicamente allo scoperto la fragilità e l’interdipendenza degli esseri umani, ha mostrato con chiarezza che siamo ad un punto di non ritorno in cui è urgente, per la difesa del pianeta, un cambio di civiltà. Un cambio di civiltà di cui le donne possono/debbono farsi portatrici, contrastando l’illusione di onnipotenza e l’ossessione di dominio maschili. La forza morale, l’attenzione, la relazione e la capacità di amore e di cura per le creature umane e per la natura possono essere i principi ispiratori di un altro ordine che prenda le mosse dall’esperienza storica delle donne, quella che è stata detta “opera femminile di civiltà”. Ce lo chiedono le giovani generazioni che, sulla scia di Greta Thunberg, pretendono salvaguardia dell’ambiente e giustizia sociale. Lo esigono i morti nel Mediterraneo e nelle frontiere dell’Europa, a cui rischiamo di assuefarci. Lo reclamano disperazione e sofferenza di popoli costretti da spietate oligarchie in guerre senza fine. Nel nostro paese aumenta la spesa militare e siamo quasi incredule di fronte ai forti venti di guerra che soffiano nel cuore dell’Europa. La premio Nobel Svetlana Aleksievic ha scritto “La guerra non ha un volto di donna”. È vero. Proprio per questo dobbiamo fare di tutto per fermare questa follia distruttiva. I 20 anni di occupazione militare dell’Afghanistan, conclusisi con la rovinosa fuga da Kabul, rappresentano il fallimento del ripristino della guerra come strumento di governo di un preteso “nuovo ordine internazionale” e smascherano le bugie che, in tutti questi anni, ci hanno parlato di intervento di pace. Gino Strada, del resto, ce lo ha sempre ricordato, e oggi possiamo ben chiederci a cosa sono serviti enormi costi di distruzione e il sacrificio di innumerevoli vite umane. In seguito alla caduta del Muro dell’89, invece di procedere finalmente all’attuazione dello Statuto dell’ONU, che per la prima volta nella storia dichiara la messa al bando definitiva della guerra, gli USA (e dietro ad essi l’Italia e l’“Occidente”) hanno concepito una strategia di potere pur sostenendo di volere esportare democrazia e valori universali. È più di un sospetto che, insieme a dichiarazioni di principio, si muovano corposi e inconfessati interessi economici e geopolitici. Ancora una volta constatiamo la necessità e l’urgenza di fondare le relazioni umane, sia nell’ambito dei rapporti interpersonali, sia a livello politico, sui principi della nonviolenza, che sola può dare un futuro di vera sicurezza al comune destino umano. Esprimiamo grande preoccupazione, profondo dolore e forte indignazione per quanto sta avvenendo in Afghanistan e condanniamo fermamente chi – partiti, formazioni politiche, Stati e governi, singole personalità - paventa “un’ennesima ondata migratoria” e grida al rischio di terrorismo, che si pretende ad essa collegato. Numerosi paesi europei si sono detti determinati a effettuare rimpatri forzati o espulsioni di profughi afghani verso paesi limitrofi in cui i diritti fondamentali – soprattutto delle donne - sono del tutto ignorati. L’Afghanistan non è stato un Paese sicuro nei vent’anni di occupazione occidentale, non lo era prima e non lo è ora. Esprimiamo ammirazione e solidarietà per le donne che in Afghanistan, in questi giorni di abbandono internazionale, indifese e armate solo del loro grande coraggio, stanno manifestando per i diritti di tutti: donne, bambini, categorie a gravissimo rischio di vita, come le comunità LGBT - ancora e sempre in condizioni di clandestinità - e di ogni cittadino. Per tutte queste ragioni chiediamo: • che si attivino corridoi umanitari di uscita dall’Afghanistan sicuri, in Italia e a livello internazionale e reti territoriali nei paesi ospitanti, allo scopo di dare particolari tutele e garanzie a tutti coloro – singoli o famiglie - che intendono lasciare l’Afghanistan, in particolare le donne e i bambini. Ciò in ottemperanza della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani che, all’art. 13, afferma “Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese”; • di individuare e sostenere le realtà che sul territorio della Provincia di Modena possono rappresentare luoghi di accoglienza per le persone in fuga dall’Afghanistan e di consolidare e alzare il livello di capacità di accoglienza per tutti i profughi che si rivolgono all’Italia e all’Europa, attraverso rotte pericolosissime come quella balcanica e mediterranea; • di moltiplicare l’impegno contro la preparazione della prossima guerra, contro l’industria bellica, i bilanci militari e le banche armate e per l’istituzione della difesa civile non armata e nonviolenta. ACLI, ARCI, ANPI, CGIL, Migrantes, MCE (Movimento di Cooperazione Educativa), MOXA (Modena x gli Altri), Legambiente, Associazione MILAD, FFF (Fridays For Future), Centro Contro la Violenza alle Donne, Associazione Donne nel Mondo, Blu Bramante, "Pace, Terra e Libertà" (Sassuolo), Bambini nel Deserto, ArciLesbica, Casa delle Culture, Centro Milinda, LIBERA-associazioni nomi e numeri contro le mafie, ArciGay, Movimento Nonviolento, Donne in Nero, Amnesty International, Rete di Lilliput, Associazione per la Pace, FIAB ,Collettivo “studiare, studiare, studiare”, Casa per la Pace, Modena incontra Jenin, Associazione Idee in Circolo, Gruppo Carcere-Città, Gruppo Don Milani, Associazione Tefa Colombia, Comunità di Base Villaggio Artigiano, UDI Unione Donne in Italia di Modena CHIEDIAMO
che l’Italia e l’Europa tutta agiscano tempestivamente per portare soccorso alle donne afghane, alle bambine, alle attiviste e alle donne che hanno collaborato con i paesi occidentali per combattere la violenza talebana che vengano immediatamente attivati corridoi umanitari internazionali per mettere in salvo tutte le donne afghane e i loro eventuali bambini, poiché in quanto donne – single, professioniste, insegnanti, intellettuali, artiste e attiviste – sono oggetto di rastrellamenti, violenze, stupri, schiavitù sessuale e interdizioni dalle loro attività lavorative che venga data prioritariamente assistenza alle bambine che vedono violati i loro diritti fondamentali all’istruzione, alla cura, alla tutela da ogni forma di sfruttamento sessuale e da ogni forma di violenza. https://www.casainternazionaledelledonne.org/.../a-fianc.../ L’UDI raccoglie il grido disperato delle donne afghane e l’appello accorato della regista Sahraa Karimi, prima donna presidente del cinema afghano, ora in fuga da Kabul verso una località segreta essendo un obiettivo militare dei talebani, come tutte le donne, le bambine, le professionalità afghane che in vent’anni, sono state protagoniste di un percorso storico di evoluzione e di emancipazione.
Gravissime sono le responsabilità per quello che sta succedendo dell’occidente e del nostro paese che ha condiviso le scelte belliche degli Stati Uniti verso l’Afghanistan in nome della lotta al terrorismo, della democrazia e della libertà delle donne. Di fronte ad una tragedia di cui tutti i governi italiani, a partire dal 2000, sono corresponsabili, l’UDI chiede al Governo in carica l’immediata istituzione di un organismo dotato di poteri e risorse economiche che: - appronti e gestisca programmi governativi immediati e rapidi di evacuazione dall’Afghanistan per tutti quelli che vogliono lasciare il Paese; - individui i percorsi migliori per rendere possibili corridoi umanitari per donne, bambini e bambine; - gestisca l’accoglienza nel nostro paese, organizzando anche il volontariato sia delle associazioni sia delle/i singole/i; - disegni un futuro che preveda ad esempio per le donne il riconoscimento di rifugiate politiche. Per passare dalle parole ai fatti, dai proclami teorici alle soluzioni concrete, sono tante le donne in Italia, pronte ad accogliere altre donne, quante si ritrovano nella lista di proscrizione dei talebani. Come negli anni '40, la Resistenza internazionale contro ogni violenza e sopruso non è mai finita e l’UDI, coerentemente con le proprie radici storiche, partecipa attivamente ancora oggi alla nuova Resistenza, partendo dalle donne e dall’accoglienza. Art by Shamsia Hassani Bene, ma è una conferma dell'esistente.
È apprezzabile che si sottolinei la possibilità di accesso al gratuito patrocinio per le vittime di violenza sessuale, nell'ottica di incentivare l'emersione del molto sommerso. Ma davvero è da considerarsi un importante passo avanti o piuttosto una marcia sul posto per occultare il vero problema: le inadeguate risposte alla domanda di giustizia che rivittimizzano pesantemente proprio le donne che hanno denunciato? Se è vero, infatti, che solo il 7% delle violenze sessuali viene denunciato, è altrettanto vero che la metà di queste denunce viene archiviata e solo la metà del restante 3,5% porta a sentenze di condanna. E chi pagherà le spese processuali nei casi , percentualmente elevati, in cui la violenza denunciata non venga riconosciuta da una magistratura impreparata e, malgrado buone leggi nazionali e sovranazionali, ostinatamente arroccata su stereotipi sessisti? Resta poi scoperto il civile che non fa eccezioni per le donne vittime di violenza domestica, pur costrette ad accedervi per separazioni e divorzi, se non limitatamente a fasce di reddito molto basso. Giovanna Ferrari https://www.osservatorioaic.it/images/rivista/pdf/2021_2_07_Gerosa.pdf L’albo illustrato Mimosa in fuga nasce da un incontro tutto al femminile: Serena Ballista, scrittrice e attivista nell’associazionismo femminile, Paola Formica, affermata illustratrice con all'attivo importanti collaborazioni in ambito sociale, e Patrizia Zerbi, editrice e direttrice editoriale della casa editrice indipendente e specializzata in editoria per ragazze e ragazzi Carthusia Edizioni. L’idea condivisa era quella di raccontare, attraverso una storia illustrata, il valore della Giornata internazionale della donna e la vera storia del simbolo italiano che la rappresenta, la mimosa.
Accolta con entusiasmo la sfida in casa editrice, è stata coinvolta UDI (Unione Donne in Italia) per il ruolo fondamentale dell’Associazione nella lotta per i diritti delle donne e perché fu proprio Marisa Rodano, giovane attivista dell'UDI, a proporre per la prima volta questo fiore nel 1946 collegandolo all'8 marzo. “Da più di trent'anni in Carthusia parliamo a bambine e bambini di argomenti delicati e difficili e crediamo profondamente nell’importanza di affrontare le tematiche di genere” racconta Patrizia Zerbi. “Così, alla proposta di Serena e Paola abbiamo immediatamente colto il valore del progetto. Il risultato è un albo originale, dedicato alle donne e alle bambine, per ricostruire con leggerezza una memoria storica preziosa ma soprattutto per ricordare loro l'importanza di credere in sé stesse, lottare per i propri diritti e sentirsi libere, ovunque e sempre.” Dalla voce di una delle protagoniste, la storia d'Italia dal punto di vista delle donne che hanno lottato per conquistare diritti che oggi sembrano impossibili da dover conquistare. Grazie a donne come lei, che continuano a battersi contro ogni forma di fascismo, grazie alle femministe, non solo le donne, ma tutti gli uomini vivono in una società migliore. La Storia ci dice che l’UDI nasce nel 1944-45 dai gruppi di difesa delle donne e subito si impegna per realizzare il tessuto politico e sociale necessario alla riuscita della campagna per il diritto al voto delle donne.
Ho sentito molte volte raccontare dalle protagoniste, con parole semplici, prive di enfasi, cosa riuscivano a inventare per convincere le donne ad andare a votare. Era normale, in un Paese appena uscito dalla guerra, rimboccarsi le maniche e darsi da fare per costruire tutto, a cominciare dalla democrazia. A me, giovane donna, che ero arrivata all’UDI negli anni in cui esplodeva il femminismo, quei racconti sembravano lontanissimi e un po’ lontani sembravano essere anche a chi li aveva vissuti direttamente. |
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June 2022
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